Prima dell’Unità la presenza della donna in campo educativo aveva margini ridottissimi, e lo spazio femminile era riconducibile solo a interventi di carattere filantropico o di beneficenza; una svolta radicale fu impressa da alcune disposizioni normative che caratterizzarono i primi decenni del Regno d’Italia e che proseguirono sino agli albori del fascismo.
Anche nel territorio compreso tra le attuali province di Lucca e Pistoia, quei sessant’anni registrarono una lenta crescita della scolarizzazione. Nonostante la presenza di esperimenti scolastici precoci (come quello del Pio Istituto Carozzi Sannini, fondato da Eulalia Sannini che a partire dal 1824 mise a disposizione alcuni locali del suo palazzo di Borgo a Buggiano per l’accoglienza e l’istruzione di ragazze indigenti) per quanto riguarda la scuola destinata alle bambine e alle ragazze, nel 1861 si contavano in tutta la provincia di Lucca 15 istituti religiosi e un educandato laico che accoglievano complessivamente circa mille ragazze, tutte di ceto medio-alto, che vi ricevevano una educazione appropriata al loro futuro ruolo in famiglia e in società. A livello popolare invece non esisteva quasi nulla.
Lo sforzo del nuovo Stato unitario ruppe questo schema consolidato e, anche in Toscana, l’apertura delle scuole elementari comunali aprì, per le donne, nuove prospettive di lavoro. Infatti, nel 1862 si contavano in tutta la regione 561 maestri e solo 178 maestre; dato che si riteneva inopportuno affidare le classi femminili a dei maestri, tra i primi problemi da affrontare ci fu quello della formazione del personale, che risultava del tutto insufficiente. Fu identificato e istituito un corso apposito che prese il nome di Scuola Normale; nel 1862 la provincia di Lucca vide assegnarsi uno dei primissimi corsi femminili che vide, tra le prime allieve, Paolina Palamidessi (Pescia, 1851-1945). La nuova scuola lucchese, cui era destinata l’utenza femminile proveniente da tutte le province occidentali della regione, iniziò la sua attività in un clima di diffidenza: nel 1862 le iscritte furono solo quattordici raggiungendo, negli anni seguenti, la quarantina. Infatti accettare un posto di maestra comunale voleva spesso dire, all’epoca, allontanarsi da casa, affrontare viaggi disagevoli e inserirsi in un contesto estraneo che, soprattutto in campagna, guardava con diffidenza queste ragazze “emancipate” (la vicenda tragica della giovane maestra di Porciano Italia Donati, morta suicida a causa delle maldicenze di paese, è emblematica in questo senso).
Nonostante così scoraggianti inizi, le donne vennero sempre più numerose ad occupare le cattedre, favorite dalle norme che le penalizzavano sul piano retributivo: nei criteri di formazione delle classi miste venivano privilegiate in quanto meno pagate dei colleghi maschi.