La procedura per l’espatrio prevedeva la richiesta e la successiva concessione del passaporto. Quello per l’emigrante, dall’inizio del Novecento, fu per un lungo periodo caratterizzato da una copertina di colore rosso. Per ottenerlo era necessario farne richiesta al sindaco del comune di residenza che, a sua volta, la girava al Ministero degli affari esteri, accompagnandola con una dichiarazione di nulla osta all’espatrio. Sul passaporto dell’uomo con famiglia al seguito potevano essere iscritti la moglie e i figli e anche gli ascendenti conviventi. Per gli iscritti alla leva serviva anche il nulla osta delle autorità militari. Naturalmente si pagava una tassa di concessione da cui erano esentate le persone che si recavano all’estero per lavoro.
Anche se verso la metà dell’Ottocento esistevano nelle Americhe piccoli nuclei di emigrati italiani spesso andati all’estero dopo il fallimento dei vari moti risorgimentali, un flusso migratorio di una certa consistenza si diresse, con inizio negli ultimi decenni dell’Ottocento, dapprima verso i paesi europei e coinvolse per prime le regioni settentrionali - la Liguria innanzitutto - e solo in seguito quelle meridionali che però manifestarono una netta preferenza per le mete oltreoceano.
A segnare la scelta tra le due Americhe fu il possesso o no di denaro da investire nell’espatrio. Costava di più raggiungere l’America Latina in cui le prospettive economiche erano migliori, i problemi di lingua superabili e le differenze culturali minori. Invece, il biglietto per gli Stati Uniti costava di meno ed era facile, in un paese in grande sviluppo, trovare lavoro, sia pure poco o nulla qualificato, in agricoltura o in imprese industriali. Inoltre l’impiegarsi nella costruzione delle infrastrutture permetteva talvolta un ritmo stagionale tale da consentire, volendo, periodici ritorni a casa.
Il viaggio - il tempo cioè che si impiega per raggiungere il paese di destinazione - è l'elemento simbolo di tutto il processo migratorio, del distacco da un "prima" - conosciuto e amato, benché insoddisfacente - per raggiungere un "dopo" - sicuramente attraente ma quasi del tutto ignoto. E' un tempo difficile da vivere come le svolte che contano nella vita di ognuno. Si parte a piedi, in treno, con piroscafi lenti o con veloci transatlantici, infine in aereo. Si parte, in prevalenza, da alcuni porti italiani. E' Genova a gestire, sin dall'epoca preunitaria, il maggior traffico migratorio. Più tardi, con la meridionalizzazione del flusso e la scelta preferenziale del Nord America, sarà Napoli ad avere il primato delle partenze. A molta distanza seguono Palermo e, dopo la fine della Prima guerra mondiale, Trieste. In treno si raggiungevano i paesi europei e anche il porto francese di Le Havre da cui era più agevole, per gli emigranti del Nord, imbarcarsi per le destinazioni americane. Il numero delle partenze crebbe - torrenziale - sino alla vigilia della prima guerra mondiale: era “la grande emigrazione”.
Per coordinare e promuovere l’assistenza agli emigranti da parte dello Stato soltanto a fine gennaio 1901, dopo anni di dibattiti parlamentari, fu istituito il Commissariato generale dell’emigrazione che doveva essere il centro unico delle competenze in tale materia sino ad allora disperse fra molti ministeri. La legge attribuì al Commissariato tutta una serie di compiti che andavano dall’assenso alla nomina dei rappresentanti dei vettori alla sorveglianza sulla loro attività, dall’assistenza agli emigranti nei porti, in viaggio e all’estero alla tutela delle donne e dei fanciulli emigranti, dalla repressione dell’emigrazione clandestina alla raccolta e diffusione di notizie utili agli emigranti. Accanto a esso venne creato il Fondo per l’emigrazione, destinato a finanziare le spese dei vari servizi con entrate provenienti dai vettori e dagli stessi emigranti. Il Commissariato aveva anche il compito di mettere in guardia gli emigranti dai numerosissimi inganni che agenti di emigrazione, operanti sia nei paesi di partenza che in quelli di arrivo, attuavano ai loro danni. Prima della sua creazione, l’assistenza fu prerogativa di alcune istituzioni private. Monsignor Giovambattista Scalabrini fondò, nel 1887, l’Opera della pia società dei missionari di San Carlo che si occupava degli emigrati in Europa, nelle Americhe e in Australia, ancora oggi operativa e conosciuta, dal nome del suo fondatore, come Congregazione scalabriniana. Più tardi, negli ultimi anni del secolo, nacque la Società Umanitaria, d’ispirazione laica e riformista; poco dopo, la cattolica Opera Bonomelli operante soltanto nei paesi europei e mediterranei. Negli Stati Uniti lo sfruttamento iniziale degli emigrati trovò un argine sempre più robusto in una struttura assistenziale, la cattolica St. Raphael’s Italian Benevolent Society.