Nell’autunno del 1918 la situazione militare volse definitivamente a favore dell’Italia ed in generale delle potenze dell’Intesa, anche per il collasso economico degli Imperi Centrali; così verso la fine di ottobre l’esercito italiano si preparò all’attacco finale, che in pochi giorni portò a Vittorio Veneto ed alla resa senza condizioni dell’Austria.
In due lettere inviate ai genitori da Giorgio Schiff Giorgini troviamo una viva testimonianza del precipitarsi degli eventi, che portarono rapidamente alla fine vittoriosa della Grande Guerra: in pochi giorni si passa dai preparativi dello sfondamento delle linee austriache, mobilitando “un enorme formidabile schieramento di truppe” mai visto prima (27 ottobre 1918) alla rotta totale dell’esercito austroungarico per cui “il nostro Caporetto fu un nulla in confronto a ciò che l’esercito austriaco sta facendo” (9 novembre 1918).
Con la cessazione delle ostilità emersero le profonde divergenze esistenti non solo tra gli interventisti e tra gli uomini del governo italiano, ma anche tra le potenze vincitrici.
Le rivendicazioni territoriali italiane si basavano, per i nazionalisti e per gli esponenti più conservatori del governo presieduto da Vittorio Emanuele Orlando (il quale personalmente aveva una posizione meno rigida), sugli accordi del Patto di Londra, stipulato nell’aprile del 1915, anteriormente all’entrata in guerra dell’Italia, che prevedevano tra l’altro l’annessione della Dalmazia all’Italia. Queste pretese però si scontravano con il principio del rispetto delle nazionalità, che era invece stato alla base dell’intervento degli Stati Uniti del presidente Wilson, e che venivano a scontrarsi anche con le rivendicazioni del nuovo Stato Jugoslavo. Favorevoli al rispetto dei principi wilsoniani erano invece gli interventisti di sinistra, come Bissolati e Salvemini.
Due lettere di Salvemini a Berenson illustrano il clima di incertezza e di feroce polemica di questi giorni: scritte ad un mese di distanza l’una dall’altra, affrontano il problema della vociferata volontà di parte del Governo italiano di attivarsi per evitare il collasso dell’Austria-Ungheria in funzione anti slava, una volta soddisfatte le proprie rivendicazioni nazionali (voci cui Salvemini non dava sostanzialmente credito), disegnando in particolare il diverso atteggiamento del capo del Governo Orlando e del suo ministro degli esteri, Sonnino. Salvemini inoltre polemizza con le potenze alleate dell’Italia, in particolare con Francia ed Inghilterra che, mentre avanzavano considerevoli pretese coloniali, stigmatizzavano l’ “imperialismo” italiano quando voleva annettersi l’Istria (alla cui annessione Salvemini era favorevole) e la Dalmazia (cui invece egli si opponeva).