Giuseppe Ungaretti è stato uno dei più grandi testimoni della Grande Guerra e trascorse quasi tutti gli anni di guerra sul fronte del Carso per poi passare, solo negli ultimi mesi del conflitto, sul fronte francese dello Champagne. Dalla trincea scrisse versi memorabili, che riassumono lo spaesamento esistenziale dell’uomo di fronte agli orrori di quel conflitto bellico rielaborati in uno dei più celebri volumi della poesia italiana: "Il porto sepolto”.
Tuttavia accanto alla grande riflessione poetica abbiamo anche altri documenti che narrano, quasi in presa diretta, l’esperienza di Ungaretti al fronte. Il racconto dei giorni terribili trascorsi dal poeta-soldato sul Carso è raccolto nel fittissimo epistolario che egli scambiò con i suoi amici scrittori dell’epoca.
Pubblichiamo qui due tra le molte lettere inviate dal fronte a Giovanni Papini, a Firenze. I documenti, conservati all’interno del carteggio di Giovanni Papini, presso la Fondazione Primo Conti di Fiesole, colgono l’uomo in due momenti profondamente diversi. La prima lettera, spedita nell’imminenza della partenza per il fronte, ci mostra il volto dell’Ungaretti interventista e convinto sostenitore della necessità di entrare in guerra. Nella seconda - scritta pochi mesi dopo, appena nel dicembre 1915 - vediamo invece un uomo letteralmente distrutto, nel fisico e nel morale, dalla guerra: «per ora, tranne quando trascino il mio capo riottoso a combattere, sono un decaduto».
L’intero carteggio Ungaretti-Papini è stato edito in UNGARETTI Giuseppe, Lettere a Giovanni Papini 1915-1948, a cura di Maria Antonietta Terzoli. Introduzione di Leone Piccioni, Milano, Arnoldo Mondadori editore, 1988.