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Piantai l'erba cedrina... Giovanni Pascoli a Barga

a cura di Sara Moscardini, marzo 2017

La Casa della Poesia

La 'chiusa' di Casa Pascoli in un'immagine scattata dal poeta
Archivio Giovanni Pascoli, Foto, I.2.24

La visita alla Casa di Castelvecchio consente di cogliere appieno il sentire del poeta e la sua comunione con questo luogo. 

L’ingresso introduce alla “chiusa”, cioè al vasto giardino, delimitato da un muro di cinta che giunge fino alla chiesa di San Niccolò. Alla parte di giardino all’italiana, con aiuole geometriche e alberi ornamentali, si integra una zona destinata a orto: è quella che Pascoli definiva la tenuta dei “sette eti”: frutteti, noceti, vigneti, pioppeti, querceti, castagneti, uliveti. L’area prospiciente la casa, chiusa da una limonaia , ospita la tomba del cane Gulì, segnalata da una colonnina di pietra.

La casa, sviluppata su tre piani, grazie all’impegno della sorella Maria ha mantenuto l’assetto del tempo in cui vi soggiornò Pascoli. Difatti dopo la scomparsa del fratello Maria continuò ad abitarvi in solitudine fino alla morte nel 1953; in quarantuno anni non apportò modifiche sostanziali agli arredi, rifiutandosi di installare luce elettrica e acqua corrente allo scopo di mantenerne l’integrità. Nel testamento lasciò al Comune di Barga la casa, la cappella, i libri, i manoscritti di Giovannino, i premi da lui ottenuti, i ricordi di famiglia e quant’altro nella casa è contenuto, con l’obbligo di provvedere alle spese della manutenzione , impegno che l’ente assolve ancora oggi.

Alla casa si accede da una rampa di scale circondata da erba cedrina. Pascoli ve la piantò al momento dell’acquisto dell’immobile nel 1902: l’erba, tanto amata dalla madre Caterina, era simbolo del legame con la natia Romagna e segno del sentirsi finalmente a casa dopo tante peregrinazioni.

Dall’ingresso si accede alla cucina e alla sala da pranzo. La cucina raccoglie tutti gli utensili e le stoviglie dell’epoca, disposti sulle pareti, intorno ai fornelli in muratura e al lavatoio in pietra; accanto al camino si notano i testi per cuocere la piada, piatto romagnolo per eccellenza. Mentre la cucina era stanza di uso quotidiano, la sala da pranzo fungeva solo nelle grandi occasioni. Arredata con il mobilio della casa bolognese dei Pascoli, conserva un’angoliera bar con bottiglie d’epoca, mentre sul tavolo in massello sono disposte le bottiglie del “Flos vinae”, il vino prodotto coi vitigni dell’orto già dai tempi del poeta. Sulla stanza si aprono due porticine che conducono la prima direttamente alla cappella e l’altra nello studio di Maria, dove oggi si conservano le decine di migliaia di documenti, manoscritti, fotografie che compongono l’archivio .

Il secondo piano, al quale si accede mediante una scala in pietra, si articola intorno ad una sala centrale, lo studio di Giovanni Pascoli, il cui centro focale sono le tre scrivanie, tra le quali il poeta ruotava a seconda della materia di scrittura: poesia latina, poesia italiana, scritti danteschi. Proseguendo nell’ala “privata”, si incontrano le due camere di Giovanni e Maria, che conservano uno stile spartano, con letti a branda, comodini e cassettoni di semplice foggia. Cambiano i contenuti: alla parete della camera di Giovanni è appeso l’“hammerless gun”, il fucile donatogli da Adolfo De Bosis e che il poeta lasciò sostanzialmente inutilizzato, non volendo nuocere alla natura; i cassetti sono invece scrigni di preziosi e originali oggetti, come la macchina fotografica Kodak, grande passione di Pascoli. La camera di Mariù invece, adornata di immagini sacre, riserva una bella sorpresa: un armadio ancora pieno dei suoi abiti, i cappelli, le scarpe, e un elegante boa di struzzo. 

L’ultima camera da letto è stata arredata col mobilio proveniente dalla stanza in cui Pascoli morì a Bologna. Le altre stanze vicino allo studio conducono all’altana, una terrazza coperta da cui si gode di un ampio panorama su Barga e le zone limitrofe. 

Attigua alla casa è la cappella, un raccolto e severo ambiente dove sono sepolti il poeta e la sorella Maria in un’arca in marmo, opera di Leonardo Bistolfi; una fessura si apre a lato del sepolcro, così da consentire a Maria, a suo tempo, il contatto con la cassa da morto.

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