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Una città e il suo fiume: Firenze e la vita lungo l'Arno

a cura di Franca Orlandi, aprile 2016

Divertirsi in Arno: i bagni

Domanda di permesso di Luigi Lemmi di recintare il suo bagno pubblico alle Mulina dei Renai, e parere dell'ingegnere di circondario
ASCFi, Atti magistrali, 149, c. 320 m.

Chi non poteva permettersi la villeggiatura, ovvero la maggioranza della popolazione, si accontentava di fare il bagno in Arno. Lungo il fiume c'erano dei veri e propri stabilimenti balneari. Uno si trovava nella zona del Prato, fuori della Porticciola, vicino ai mulini: il famoso e frequentato bagno pubblico della Vagaloggia. Era fornito di uno spogliatoio e di un guardaroba a pagamento, e diviso in due da una cancellata di ferro: uomini da una parte, donne dall'altra, con tanto di dipendenti pagati dal governo e addetti all'assistenza dei bagnanti e delle bagnanti. Nel quartiere di S. Niccolò c'erano altri due bagni, di proprietà di Giovan Battista Bianchi: uno detto della Buca del Cento, all'ombra del giardino Torrigiani; l'altro, chiamato del Fischiaio, dalla parte delle Molina dei Renai. Si pagava un quattrino per fare il bagno e un soldo per avere qualcosa con cui asciugarsi. Si trattava di bagni popolari, dove uomini, donne e bambini stavano tutti insieme a prendere il sole, fare il bagno e spettegolare. Per tutelare la decenza il Bianchi chiese e ottenne dalla Comunità il permesso di circondare il bagno con una tenda. Alle Molina dei Renai, dove oggi inizia il Lungarno Serristori, vi era un altro bagno, di proprietà di Luigi Lemmi prima e del francese Pons in seguito, frequentato solo da signori e aristocratici. Qui ognuno aveva il proprio spogliatoio, e per evitare che dal ponte alle Grazie si vedessero i bagnanti "ignudi" anche il Lemmi coprì lo stabilimento con un "incannicciato", qualcosa di più stabile di una tenda, che però nei giorni di vento era del tutto inutile allo scopo.

Un altro bagno, frequentato dal popolino, era quello delle Molina di S. Niccolò; bagnarsi in quel punto era però pericoloso, perché dopo ogni piena si trovavano nel letto della gora vetri e spazzatura di ogni genere. Un altro punto pericoloso, a causa della profondità e delle correnti, era presso la Zecca Vecchia: il bagno lì esistente, piastrellato con mattoncini rossi (si chiamava infatti dei Matton Rossi), era riservato alle persone danarose. I regolamenti vietavano a chiunque di fare il bagno durante il giorno, ma nel luglio del 1819 la Presidenza del Buongoverno segnalò che "uomini e ragazzi in gran numero, e di chiaro giorno continuano a bagnarsi nell'Arno, e dentro la città e fuori lungo il passeggio delle Cascine, con molta meraviglia del pubblico che ne resta scandalizzato". Gli agenti di polizia furono allora autorizzati ad arrestare i trasgressori. A causa dei frequenti annegamenti, l'ingegnere Paolo Veraci fu incaricato nel 1822 di indicare i punti più pericolosi per la balneazione: sotto la pescaia di S. Niccolò; presso i Matton Rossi; alla punta della Porticciola; nello spazio lungo la spalletta sinistra del fiume ("dalla casa Mazzinghi fino alla casa Mazzeranghe"); sotto il ponte S. Trinita. Ma dove non c'era pericolo, le autorità non vietarono "alle classi indigenti il comodo che godevano dopo l'ave Maria delle 24 delle bagnature nell'Arno".

Le persone che rischiavano di annegare in Arno perché facevano il bagno in punti pericolosi o perché, imprudentemente, scivolavano in acqua, erano piuttosto numerose, al punto che fu deciso di promuovere in qualche modo i salvataggi. Una notificazione del 9 febbraio 1778 della Camera di Commercio stabilì di continuare a dare, come accadeva da cinque anni, un premio di 5 zecchini per ogni persona salvata dall'annegamento. Vicino piazza delle Travi fu salvato nell'agosto del 1783 Giovanni Martini, grazie all'eroico gesto di un certo Piero Nuti, adeguatamente ricompensato. Anche i medici che soccorrevano gli annegati avevano diritto ad un premio: così accadde nell'estate del 1784 al chirurgo Egidio Fabbrichesi, accorso per rianimare il malcapitato Luigi Mesti, tirato a riva più morto che vivo. Nel 1829 il Gonfaloniere propose, per quel punto così pericoloso, un esplicito divieto di balneazione. Gli incidenti potevano capitare anche d'inverno, e infatti fu in un freddo dicembre che tale Damiano Bini ricevette un premio per aver "ripescato" in Arno un certo Francesco Bandini. Alcuni nuotatori esperti iniziarono però a simulare falsi salvataggi, mettendosi d'accordo con persone che fingevano di annegare: proprio per questo motivo, le ricompense per simili atti di "eroismo" furono alla fine soppresse.

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